Il fotografo Magnum Alex Webb racconta di sé, di questa immagine e del punto di svolta nella sua carriera.
Questa intervista rilasciata al “The Guardian”, uscita pochi giorni fa, è stata tradotta dalla collega Marianna Santoni per ha ispirato molto e pensiamo possa avere lo stesso impatto anche su altri.
“Nel 1975, quando avevo 23 anni, avevo raggiunto la fine della mia carriera fotografica. Avevo fotografato i paesaggi americani in bianco e nero, avevo colto l’ironia, isolato immagini di molti parcheggi di supermercati e le file di negozi a lato delle strade. Il mio lavoro non stava andando da nessuna parte, non era stato mai diffuso né aveva avuto grande risonanza. Così iniziai a cercare altrove verso una nuova direzione.
“The Lawless Roads” di Graham Greene accese il mio interesse per il Messico. Scattai questa foto a Tehuantepec, nel Sud del Paese, all’inizio degli anni ‘80. Volevo semplicemente che la mia esperienza con la fotocamera mi portasse a fare un salto in avanti.
Era un pomeriggio pesante e afoso e arrivai in una piazza blu e bianca. Era molto caldo, mi sentivo senza ispirazione e un po’ perso quando ad un certo punto vidi alcuni bambini con una palla. Non appena mi avvicinai uno dei ragazzi fece ruotare la palla sulla punta del suo dito, e percepii esattamente le forme di quei bambini, le strisce blu intorno, e il blu della palla, e feci alcuni scatti. Poi il momento scivolò via.
Non non so mai quando una foto funzionerà. Con questo scatto, ero speranzoso ma incerto. L’otturatore lento che usai rese la palla che girava simile ad un globo terrestre rotante. L’immagine si permeò di una dimensione completamente diversa rispetto a quella di cui io ero consapevole al momento dello scatto. Mi piaceva l’idea che questo ragazzo di una piccola città del Sud del Messico sembrasse avere il mondo che girava sulla punta del dito. Solo in un secondo momento realizzai che c’era una seconda palla nel frame: una palla da basket che ricadeva dal cesto dopo aver fatto centro. Questo tipo di fotografia – quando si vaga per le strade e si esplora il mondo con pochi preconcetti – è piena di immediatezza, intuizione e fortuna. La consapevolezza razionale lascia il posto all’inconscio che prende il sopravvento.
Ho imparato a fotografare quando avevo dieci anni da mio padre, che fotografava come uno scrittore usa il suo block notes. Nel mio lavoro ci sono echi di quadri che vidi da bambino, di De Chirico e di Braque, e di scrittori che lessi da adolescente, come Graham Green, Conrad e Gabriel García Márquez. Ma quello che in ultima istanza mi portò alla fotografia fu il suo rapporto diretto, molto complicato con il mondo fisico. Confrontare e interpretare il caos e la complessità del mondo funziona meglio per me che avere a che fare con una tela vuota. Io credo nelle fotografie che generano domande e non rivendicano di fornire risposte.
In Messico ero particolarmente attratto dai luoghi di confine. Negli anni ’70 e ’80 questi luoghi erano permeabili. Gli incontri che si facevano erano spesso divertenti e assurdi. Una volta, io e Tom Miller, il giornalista che era con me, fummo presi in custodia cautelare poiché zigzagavamo lungo il confine. Consegnammo il nostro passaporto agli ufficiali messicani con una banconota da 20 dollari inserita all’interno, proponendogli di offrirgli la cena… e il trucco funzionò. Consumammo un’amichevole cena a base di tacos nell’ufficio immigrazione.
Lavorare nelle zone di confine mi ha aiutato a trasformarmi in un fotografo a colori: la vita qui sembra essere vissuta in maniera vibrante dalla veranda alla strada, molto diversamente da quella reticenza grigio-marrone del New England dove vengo. Penso spesso a questi versi tratti da The Lawless Roads: “La vita non sarà mai la stessa dopo che il tuo passaporto è stato timbrato e tu ti trovi senza parole in un ufficio di cambio valute”.”
L’articolo originale è qui:http://www.theguardian.com/…/alex-webb-best-photograph-chil…
Altri riferimenti
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=10153805907624475&id=174907189474&substory_index=0